Misurare dell'energia assorbita nella prova di resilienza
Prova di resilienza con pendolo di charpy e provino realizzato come previsto dalla normativa con intaglio di forma standard.
27 aprile 2020
Cos’è la resilienza?
Si definisce resilienza la capacità di un materiale di immagazzinare energia di deformazione elastica e plastica fino a rottura, ovvero l’abilità di sopportare urti e carichi dinamici. In generale, un indice molto importante è dato dal modulo di resilienza, ovvero dall’area sottesa dal grafico di una curva in un diagramma sforzo-deformazione.
La resilienza, come altre proprietà meccaniche che caratterizzano i materiali, risente molto di alcune condizioni, in particolare della temperatura. Infatti, i materiali tendono a passare, per effetto dalla temperatura, da un comportamento duttile ad un comportamento fragile e viceversa. Importante, da questo punto di vista, è la temperatura di transizione duttile-fragile, alla quale si ha un salto repentino dall’uno all’altro. In linea di massima l’effetto è:
- Alle basse temperature, il materiale tende a fragilizzare immagazzinando meno energia.
- Alle alte temperature, il materiale tende a comportarsi in maniera duttile riuscendo ad assorbire quantità di energia più elevate.
Seppur questo sia ciò che si riscontra per la maggior parte dei casi, ci sono sempre delle eccezioni che caratterizzano il comportamento dei materiali: ad esempio, materiali con reticolo CFC (cubico a facce centrate) non presentano la temperatura di transizione e il salto prestazionale che ne consegue.
Come si eseguono i test per la resilienza?
In laboratorio, la prova di resilienza è solitamente svolta mediante la prova di Charpy e, talvolta, mediante la prova Izod.
Il pendolo di Charpy, dal nome del suo ideatore, è uno strumento composto da una mazza vincolata alla base tramite una cerniera. L’altro lato è libero di muoversi e viene posizionato ad un’altezza H. Una volta lasciata libera la mazza scende e va ad impattare un provino opportunamente intagliato (può essere presente un intaglio a V o a U), portandolo a rottura, e risale ad un’altezza h, diversa da quella di partenza. La misura consiste nel calcolare la differenza di energia potenziale tra la situazione iniziale e quella finale:
dove m è la massa del pendolo; g è l’accelerazione di gravità; H è l’altezza iniziale del pendolo; h è l’altezza finale del pendolo. Tale valore di K, espresso in Joule (essendo un valore energetico), rappresenta la resilienza del materiale. La relazione scritta in precedenza può anche essere riformulata su basi trigonometriche:
dove l è lunghezza dell’asta del pendolo; β è l’angolo di risalita rispetto alla verticale; α è l’angolo della posizione iniziale rispetto alla verticale.
Un aspetto fondamentale quando si approccia il risultato di una prova di resilienza è considerare che tale valore non ha validità assoluta, bensì relativa. Il semplice dato energetico estratto non ha significato se preso singolarmente (cambiando la dimensione dell’intaglio o altri parametri il valore cambia), ma deve essere utilizzato per fare confronti che permettano di fare una scelta del materiale corretta evitando di utilizzare materiali fragili in applicazioni in cui sia richiesto un certo grado di duttilità.